Il paradosso della scuola ferma
Sono una pedagogista e insegno nella scuola primaria. Sono anche istruttrice di yoga per bambini e maestra di sci alpino. Ogni giorno, nella mia pratica educativa, vedo quanto il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza sia cambiato. Viviamo in una società fluida, in costante trasformazione, eppure la scuola italiana sembra ancora legata a un modello rigido e trasmissivo, tra banchi, verifiche, circolari e campanelle. Il paradosso è che la scuola è sempre la stessa, mentre i bambini e i ragazzi sono profondamente cambiati. Oggi viviamo in un mondo che corre sempre più veloce, in cui conta apparire, mostrarsi, essere performanti. È un mondo che spesso diventa narcisista, in cui l’attenzione si concentra sull’immagine più che sulle relazioni profonde. Conseguenze? Isolamento emotivo, ansia, depressione, per non parlare dei disturbi più gravi, che talvolta sfociano in scelte estreme. I bambini arrivano a scuola già carichi di tensione e nervosismo, eppure il sistema scolastico risponde con la stessa medicina di sempre: seduti, ascoltate, studiate, verifica, voto. Ma ogni giugno questo sistema rigido va in stand-by, e arriva l’estate… e in estate tutto cambia.
Il bosco come maestro
Durante l’estate propongo pratiche di yoga per bambini immerse nella natura del bosco.
Partecipo a un campo estivo organizzato da Vicky, guida di montagna ed educatrice esperienziale in natura, una ragazza davvero genuina. Ha creato Vicky Outdoor Experience, una proposta di “Estate in Natura” che offre ai bambini e agli adolescenti giornate immersive in ambiente naturale, con attività sia libere che organizzate, e uno spazio compiti per chi lo desidera.
Accampandosi su un prato in mezzo al bosco, Vicky ha ricreato un vero campo base per i ragazzi, che passano le giornate a piedi scalzi nel torrente, senza banchi né campanelle. Ascoltano il silenzio, costruiscono rifugi, si arrampicano sugli alberi, esplorano il territorio, suonano la chitarra. Giocano. E ogni tanto, stendono i tappetini per fare un po’ di yoga.
In questo bosco, che io chiamo “bosco magico di Vicky”, i bambini ritrovano concentrazione, memoria, fantasia, creatività, motivazione. Durante lo yoga sembrano davvero calmi e presenti. Senza dover ripetere “stai fermo” o “concentrati”, lo fanno da soli, perché il corpo e la mente sono finalmente sincronizzati. E allora mi chiedo: perché la scuola non può imparare, in questo caso, dal bosco? Perché continuiamo a chiedere prestazioni scolastiche a bambini che non hanno ancora imparato a respirare, a stare nel proprio corpo, a gestire le emozioni, a sentirsi parte di un gruppo? Se fossi il Ministro dell’Istruzione non partirei da un nuovo programma o dall’ennesima riforma dei voti. Partirei da una visione diversa.
Ripensare lo scopo della scuola
Prima di tutto bisognerebbe cambiare lo scopo della scuola. Oggi la scuola ha come obiettivo implicito quello di trasmettere conoscenze e valutare prestazioni individuali, invece servirebbe un cambio radicale, ovvero coltivare esseri umani completi, capaci di pensiero critico, empatia, adattabilità, consapevolezza e collaborazione. Lettura, scrittura e calcolo – le basi – sono strumenti fondamentali, ma andrebbero ri-contestualizzati, resi significativi. Un bambino che ha contato davvero le pietre di un sentiero, o che ha scritto un diario della sua esperienza nel bosco, non dimentica ciò che ha imparato. Io lo so, non sono sola. So che tantissimi colleghi e colleghe, forse la maggior parte, sentono le stesse cose che sento io e ci provano, ogni giorno, a cambiare. Si inventano laboratori, progettano percorsi diversi, costruiscono relazioni profonde con i ragazzi, anche dentro le rigidità del sistema.
Ma finché resteremo chiusi nelle aule, anche la nostra voglia di innovare resterà chiusa.
Ripensare gli spazi
Naturalmente, so bene che una scuola all’aperto o una scuola che si apre al mondo non si può improvvisare.
Uscire dalle aule non significa semplicemente portare fuori venti o venticinque bambini senza una struttura adeguata. Per esperienza diretta so bene quanto diventi difficile e rischioso gestire più di dieci bambini in ambienti naturali, come ad esempio la montagna. Per garantire sicurezza, sorveglianza e qualità educativa, serve un rapporto numerico più umano, una soglia che permette di accompagnare i bambini con attenzione, rispettando i loro tempi e garantendo l’incolumità in contesti che possono presentare rischi.
Bisognerebbe ripensare la scuola stessa come edificio, come spazio fisico. Nei grandi centri urbani non è facile portare classi intere in natura con continuità, ma si può immaginare una scuola che sia già costruita in dialogo con la natura. Edifici vicini a parchi o boschi, scuole diffuse in piccoli plessi invece di grandi blocchi centralizzati, aule che si aprono su giardini, cortili trasformati in microboschi, orti scolastici, spazi polifunzionali.
Insomma, luoghi pensati non solo per contenere bambini, ma per farli crescere.
Una scuola pensata per i bambini
Come afferma Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta:
La scuola non è fatta per i bambini e per gli adolescenti. È ancora costruita come se vivessimo in una società stabile, quando tutto cambia rapidamente. […] In realtà è da 25 anni che la politica sa che tipo di scuola ci vorrebbe, ma nessuno si azzarda a proporla. Il vero motivo è che non si può fare una scuola per i bambini. Da quarant’anni, i provvedimenti sulla scuola sono pensati per gli adulti — per i dipendenti, per il sistema, per i genitori — non per gli studenti. […]
Se tocchi la scuola italiana, hai perso le elezioni. Matteo Lancini, Psicologo e psicoterapeuta
Parole forti, ma vere.
In sostanza, non basterebbe cambiare qualche metodo o introdurre qualche attività nuova, cosa che, tra l’altro, già si fa, servirebbe ripensare l’intero impianto scolastico.
Dovremmo capovolgere il ragionamento: prima decidere quale scuola vogliamo, quali esperienze vogliamo far vivere ai bambini e ai ragazzi, e solo dopo costruire intorno un’organizzazione che lo renda possibile. Invece accade il contrario: il sistema scolastico è costruito intorno a elementi esterni e l’insegnamento è costretto ad adattarsi a queste strutture.
Non servono miracoli, servono scelte politiche coraggiose che mettano al centro il benessere e lo sviluppo complessivo dei bambini e dei ragazzi.
Serve il coraggio di pensare a scuole che non siano più caserme di cemento, ma luoghi vivi, aperti, vicini alla natura.
La scuola campo base
Ed è qui che entra in gioco la metafora che più sento mia: la scuola come campo base.
In alpinismo il campo base non è il punto d’arrivo, ma il luogo sicuro da cui partire per esplorare e a cui tornare per riposare e ritrovare forza. È il cuore pulsante della spedizione, un rifugio che prepara e incoraggia a spingersi oltre. Così dovrebbe essere la scuola: non una gabbia di cemento che trattiene, ma un luogo vivo che accoglie e sostiene. Un punto di partenza per esplorare il mondo e un porto sicuro a cui tornare per condividere scoperte ed esperienze.
Ecco perché immagino la scuola come un campo base: un luogo che accompagna i bambini nelle loro esplorazioni, che li prepara a spingersi oltre la comfort zone e che dà loro la forza di partire e la certezza di poter sempre tornare.


