Un nuovo viaggio culturale e riflessivo mi ha portata presso il GAM di Torino, all’interno della mostra fotografica Word Press Photo 2022. Esposizione delle suggestive fotografie premiate nel più importante riconoscimento di fotogiornalismo al mondo.
Un’esposizione in cui la fotografia con la sua autorevolezza, compie un’indagine sulla realtà e l’attualità dei nostri tempi sotto forma di documento storico che, ci permette di rivivere le storie a noi contemporanee nelle sue molteplici sfaccettature.
La fotografia documentaria coglie quindi con occhi attenti, gli istanti più significativi delle storie ritratte, offrendo a noi spettatori, spunti di profonda riflessione. Una riflessione che ci permette di connetterci alle realtà a noi sconosciute, dando un significato alla fotografia dal punto di vista della nostra esperienza per mezzo del nostro bagaglio culturale.
Contemporaneità evidente nelle forti tematiche trattate, infatti se per l’edizione 2021 il tema dominate era la pandemia e l’impatto che il COVID-19 ha avuto sulla popolazione mondiale con storie di speranza, resilienza e cambiamento sociale, per l’edizione 2022 tra i temi trattati troviamo la crisi in Ucraina, la crisi climatica e le possibili soluzioni ai problemi ambientali, la lotta per i diritti fondamentali dell’uomo, le lotte globali come la tutela della cultura indigena e il diritto all’istruzione.
Tra questi scatti documentari, predominati e di grande impatto emotivo, sono le storie di coraggio di popoli che si battono nonostante le critiche condizioni sociali e umanitarie, per difendere i diritti e conquistare la libertà di pensiero.
Durante la visita al museo è stato interessante vedere come i fotografi, sia nei progetti a breve che a lungo termine, ponendosi in stretto contatto con le realtà ritratte (a volte per settimane, a volte per mesi), hanno documentato attraverso la loro sensibilità, vite, momenti e realtà spesso al limite delle possibilità. L’intento è quello di dar voce a situazioni e realtà, per indagare e diffondere contenuti generando consapevolezza sulle questioni globali. Una presa di coscienza che consente una comprensione dei fatti reali e autentici, connettendo tutte le storie con il resto del mondo rendendole poi fruibili e parte di un circuito globale unico e solidale.
Vincitori e progetti fotografici
Negli scorsi anni i premi principali assegnati dalla giuria fotografica erano due, quest’anno sono stati integrati altri due premi per un totale di quattro:
World Press Photo of the Year, per la migliore foto singola, vinto da Amber Bracken con la foto “Kamloops Residential School”;
World Press Photo Story of the Year, per la migliore storia, vinto da Matthew Abbott con il lavoro “Saving Forests with Fire”;
World Press Photo Long-Term Project Award, per il miglior progetto a lungo termine, vinto da Lalo de Almeida con ”Amazonian Dystopia”;
World Press Photo Open Format Award, per il miglior progetto Open Format, vinto da Isadora Romero per “Blood is a Seed”.
I progetti fotografici presentati, nascono da relazioni di breve o di lungo termine tra fotoreporter, popoli e realtà documentate. Realtà non sempre facili e libertà di espressione non sempre scontata perché in gran parte dei casi, lo svolgimento del loro lavoro è compromesso da continue minacce, censure e restrizioni.
Tra la densa raccolta fotografica del World Press, i progetti che più hanno colpito emotivamente la mia attenzione, sono stati quelli a lungo termine. Progetti intensi e travolgenti in cui lo spettatore viene trascinato nel pieno delle situazioni fotografate, diventando quasi partecipe degli eventi documentati.
Uno dei primi che mi ha colpito in quanto ritratto di una realtà che ci ha travolti nella cronaca attuale, in un flusso di riflessioni riguardanti la guerra in corso in Ucraina, è stato quello del francese Guillaum Herbaut ”Crisi Ucraina”. Progetto realizzato tra il 2013 e il 2021, in cui il fotografo compie un’indagine sulle tensioni ucraine tra l’Est e l’Ovest nonché causa che ha portato al conflitto attuale.
Documentazione basata sulle tensioni inasprite nel 2014, quando i russi hanno occupato la Crimea e i separatisti del distretto orientale del Donetsk e Luhansk hanno istituito delle repubbliche popolari autoproclamate. Situazione prolungata fino all’aprile del 2021, quando la Russia ha radunato forze militari al confine con l’Ucraina. Vietando poi l’ingresso dell’Ucraina nella Nato, la situazione precipita e il 21 febbraio del 2022 il presidente Putin riconosce formalmente l’indipendenza dei due paesi occupati Donetsk e Luhansk, ma tre giorni dopo, la Russia lancia l’invasione dell’Ucraina su grande scala.
Nell’immobilità dei suoi scatti tra manifestanti in protesta, operosità di donne che cuciono tenute mimetiche per i soldati ucraini, contadini colpiti da mine nei campi, si evince un’ostilità palpabile attraverso gli sguardi e il vissuto dei cittadini ritratti, in cui la distruzione diventa protagonista invadendo ogni aspetto della vita.
Altro progetto a lungo termine intenso è stato quello riguardante il Nord e Centro America del fotoreporter Louie Palu “Anno politico zero”. Racconta l’instabilità politica e sociale durante l’ultimo anno di presidenza di Donald Trump. Malcontenti creati tra i suoi sostenitori, sfociati poi nell’insurrezione che ha dato vita all’occupazione del Campidoglio di Washington DC. Attraverso le foto in bianco e nero, Palu, ritrae la tensione dei manifestanti mentre i rivoltosi fanno irruzione nell’edificio del Campidoglio per contestare la vittoria elettorale del presidente Joe Biden. Rigidità e instabilità celebrati mediante l’uso del bianco e nero, per esaltare quasi l’immobilità instabile di un governo in bilico.
Sulla scia della stessa tecnica, altro progetto coinvolgente e stato quello che pone uno sguardo profondo sull’America meridionale “Amazonian Dystopia” del fotogiornalista Lalo de Almeida, nonché premio per i progetti a lungo termine.
Con le sue toccanti fotografie in bianco e nero, Almeida racconta gli eventi che minacciano la foresta pluviale amazzonica, la devastazione, le conseguenze sull’intero ecosistema e sulle comunità autoctone tra deforestazione, sviluppo infrastrutturale, estrazione mineraria e politiche ambientali regressive del presidente brasiliano Bolsonaro.
Foto che ritraggono la speranza di donne e bambini inermi della comunità Pirahã in cerca di sostegno, cani affamati davanti ad un negozio di carni e situazioni che descrivono l’impatto dei
cambiamenti climatici sulla società, ma soprattutto il degrado dell’ambiente e dello stile di vita.
Il bianco e nero trionfa tra gli scatti potenti del World Press. La tecnica monocromatica e la potenza espressiva, fanno delle fotografie documentarie vere e proprie opere d’arte, in cui lo studio della luce, della composizione e dei toni, si mescolano dandoci la possibilità di vedere come il mondo può tradursi in un’infinità di sfumature di grigio, luci e ombre. Proprio come diceva il grande Gianni Berengo Gardin a proposito delle sue fotografie scattate durante il suo tour tra le città italiane, il bianco e nero non distrae, ma è più efficace perché a differenza del colore, che tende a distogliere chi guarda una foto, si concentra più sul contenuto.
La tecnica monocromatica, elimina quindi, il dettaglio a colori e crea spazio nell’immaginazione dando senso e comunicatività all’immagine.
Il coinvolgimento della fotografia in bianco e nero in queste foto, risulta molto evocativo perché sottrae il dettaglio visivo esaltando l’atmosfera in cui i contrasti chiaroscurali attraggono lo sguardo che si immerge nello stato d’animo dei soggetti.
Restando sulla carica espressiva della tecnica, altro progetto travolgente a lungo termine è stato quello riguardante il Sud-Est Asiatico e l’Oceania, della fotografa indonesiana Abriansyah Liberto “Foschia”.
Scatti concepiti come campagna di sensibilizzazione, raccontano gli incendi boschivi che hanno colpito negli ultimi anni l’Indonesia ma in particolare la nube e gli effetti negativi che, la foschia creata dalle fiamme e le polveri sottili trasportate dal vento, possono avere sulla salute umana penetrando a fondo nei polmoni.
In questi scatti in bianco e nero si percepisce la sensibilità dell’autrice al tema e quindi la sofferenza di un popolo che a causa di una produzione sempre più massiccia, legata allo sfruttamento dei terreni da parte delle grosse compagnie per la produzione di olio di palma, vive i danni provocati dal comportamento scellerato dell’uomo. Il disboscamento come causa principale di diffusione di incendi e la siccità che espone maggiormente il terreno agli incendi.
Le foto presentano stralci di vita del popolo indonesiano, tra la disperazione di una donna che osserva la lastra dei polmoni malati di sua figlia, la fuga di massa e l’operosità degli addetti in azione per domare le fiamme.
Tanti sono gli autori che hanno documentato situazioni di pericolo e distruzione ambientale al fine di sensibilizzare le coscienze sul tema, proponendo allo stesso tempo soluzioni al problema, affiancando atteggiamenti legati alle tradizioni popolari a soluzioni contemporanee legate alle nuove tecnologie, al fine di prevenire gli incendi di ogni natura.
Altro esempio in questo ambito lo si nota nel reportage dell’australiano Matthew Abbott “Saving Forests with Fire“, vincitore del premio World Press Photo Story of the Year. Qui l’autore racconta l’antica pratica del cool burning adottata dai nativi australiani Nawarddeken, per produrre incendi controllati e bruciare strategicamente la terra. In questo modo le fiamme si spostano lente, bruciando il sottobosco, eliminando così l’accumulo di anidride carbonica combustibile che alimenta gli incendi e il riscaldamento globale.
È interessante vedere come un popolo diventa consapevole del proprio agire, facendo del fuoco un potente strumento che funge da guida come fonte luminosa per la caccia e l’approvvigionamento dei beni primari, oltre che mezzo per gestire e controllare in piena sicurezza la propria terra.
Tra un’osservazione e l’altra, un bellissimo reportage che merita una riflessione, è quello sull’Africa del fotografo nigeriano Sodiq Adelakun Adekola, il quale mette in luce un tema affrontato con proteste internazionali solo nel 2014, ma ad oggi poco dibattuto dai media. Tema riguardante il diritto allo studio e alla libertà di espressione, indagando sui rapimenti di studenti da parte di bande islamiche armate nelle scuole nigeriane. Sequestri di ragazzi e ragazze mirati a combattere il secolarismo occidentale, al fine di aggiudicarsi facili accessi con i riscatti ed inoltre negoziare la liberazione dei membri del terrorista nigeriano Boko Haram in carcere.
Un reportage a colori dai forti contrasti ritrae ambienti in cui l’assenza fisica ed emotiva diventa presenza palpabile e filo conduttore della raccolta fotografica. Tra le classi ormai prive di studenti e la disperazione delle madri, il fotografo esalta il trauma e la paura profonda dei giovani e delle famiglie nei villaggi nigeriani.
Tra un progetto e l’altro, l’attenzione si sofferma sul formato aperto del Nord e Centro America del fotografo messicano Yael Martinez “Il fiore del tempo: la Montagna Rossa di Guerrero”. Indagine sull’economia della droga nonché su coltivazione, produzione, commercio e sull’influenza di quest’ultima nella struttura sociale delle comunità agricole native. Scatti insoliti perché caratterizzati da un’alterazione del supporto fisico, su cui il fotografo applica graffi e scorciature di colore rosso per rappresentare il trauma e il maltrattamento del fiore del papavero durante l’estrazione dell’oppio. L’uso contrapposto del colore, se da un lato rappresenta la violenza e il sangue del mercato del narcotraffico, dall’altro rappresenta la vita nonché mezzo di sostentamento e di rinascita per molte comunità.
Tra gli scatti che però mi hanno emozionato maggiormente, troviamo i singoli di Konstantinos Tsakalidis “Bloomberg News” e di Amber Bracken “Kamloops Residential School”, pubblicata per il New York Times e vincitrice del premio World Press Photo of the Year.
Nel primo caso il greco Tsakalidis si concentra su diverse sfaccettature del tema del riscaldamento globale, quindi sui cambiamenti climatici, la gestione degli incendi ma in particolare sugli incendi boschivi che hanno colpito il villaggio di Gouves nell’isola greca di Evia l’8 agosto del 2021.
Tsakalidis coglie nel suo scatto la disperazione di una donna che abbandona la sua casa per sfuggire alle fiamme che nel frattempo avvolgono l’intera isola. Incendio che sarà poi domato in quasi due settimane e salverà dal rogo la sua abitazione. Il fotografo, coglie tutto il carico dell’angoscia e della disperazione del momento e l’incapacità di reagire.
Uno scatto che mi ha coinvolto emotivamente perché carico di pathos, in cui la disperazione della donna in primo piano e le linee prospettiche della strada che si apre nel centro dell’inquadratura, aprono lo sguardo sullo spettatore che prende parte all’incendio in uno stato di apprensione. Sguardo con cui ci si immedesima visivamente ed emotivamente.
Nel secondo caso, troviamo uno scatto realizzato nella scuola di Kamloops, in cui sono presenti abiti rossi appesi alle croci lungo una strada per commemorare i bambini morti nella scuola di Kamloops Indian Residential School, istituzione per integrazione dei piccoli indigeni. Celebrazione fotografica di un luogo in cui sono state scoperte circa 215 tombe. Immagine potente, in cui si percepisce un silenzio inquietante ma simbolico, dove prendere consapevolezza degli avvenimenti legati ad una storia vergognosa in cui 4.100 studenti sono morti mentre erano nelle scuole a causa di maltrattamenti, negligenze, malattie o incidenti.
È un tipo di immagine che si insinua nella tua memoria, ispira una sorta di reazione sensoriale. Potevo quasi sentire la quiete in questa fotografia, un momento tranquillo di resa dei conti globale per la storia della colonizzazione, non solo in Canada ma in tutto il mondo
Rena Effendi, Presidente della giuria globale
Ultimo lavoro oggetto del mio coinvolgimento emotivo è stata la Menzione d’Onore di Mary Gelman, legata al tema della disabilità e alla sindrome di Down. Una storia fotografica dolce, frutto di una stretta collaborazione tra l’autrice e la coppia di cinquantenni
. Esalta la resilienza e l’audacia di due persone affette dalla sindrome di Down, ritratte con le mani in pasta durante un momento ricreativo.
Anche qui, si pone lo sguardo su una realtà a volte al margine della società e sull’importanza del come l’integrazione e la partecipazione attiva delle persone più deboli alle attività della vita quotidiana possano valorizzarne le capacità, resistendo e respingendo ogni forma di discriminazione.
Insomma è stata un’esperienza visiva dai contenuti forti, che mi ha permesso di apprendere situazioni socio culturali prima sconosciute e di riflettere sull’importanza del lavoro compiuto dai fotoreporter. Reporter che, anche in condizioni estreme, si adoperano per documentare e diffondere contenuti meno noti. Archivi fotografici che riescono a smuovere le coscienze, rendendoci responsabili ma anche vulnerabili davanti agli avvenimenti su cui dovremmo soffermarci a riflettere per essere più responsabili e agire coscientemente, nel rispetto degli altri e del pianeta che ci ospita.
Una lotta per rendere la comunicazione libera e accessibile a tutti per un mondo libero da abusi, soprusi e schiavitù.
Lo dobbiamo a coloro che stanno dando la vita lottando per i diritti fondamentali, i quali non solo sognano un mondo migliore, ma lottano instancabilmente per realizzarlo
N’Goné Fall, Presidente della giuria per l’Africa