Tutti noi, almeno una volta nella vita, ci siamo commossi guardando la scena di un film o ascoltando una canzone d’amore. Tutti noi quindi, almeno una volta nella vita, ci siamo emozionati.
Ma quanti di voi si sono chiesti cos’è un’emozione?
Emozione deriva dal latino “emovere” che significa riscuotere, spostare fuori, quindi quando ci emozioniamo andiamo al di fuori del nostro abituale comportamento perdendo così il normale equilibrio.
Nella storia della psicologia il primo a parlare di emozioni fu William James nel 1884 il quale sosteneva che le emozioni non erano altro che cambiamenti corporei seguiti dalla percezione e che quest’ultimi determinavano uno stato emotivo1.
Successivamente grazie agli studi dei comportamentisti e del neurofisiologo Paul MacLean (1963) si è capito che non sono i cambiamenti corporei a provocare stati emotivi bensì il contrario. Le emozioni sono funzioni biologiche e svolgono un ruolo fondamentale nella sopravvivenza di un individuo. L’autore sostiene che il cervello si è evoluto gradualmente nel corso dell’evoluzione della specie andando ad aggiungere alla struttura di base, dominata da istinti primari, una struttura superiore, dominata dalle emozioni e, una struttura razionale rappresentata dalla neocorteccia.
Il sistema limbico, che è la parte superiore del cervello rettiliano, ci permette di sentire (emotivamente) questo perché è coinvolto nelle reazioni emotive, nelle risposte comportamentali, nella memoria a breve e lungo termine, nell’apprendimento e nell’olfatto2.
Infatti una delle peculiarità di noi esseri umani è che a prescindere dal luogo di nascita e dal contesto in cui cresciamo, siamo dotati di un linguaggio universale che è appunto quello emotivo. Al momento della nascita i bambini comunicano con i loro adulti di riferimento grazie ad un codice linguistico inequivocabile, emozioni come la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura, il disgusto e la sorpresa hanno le stesse espressioni e lo stesso significato in tutto il mondo. Un recente studio ha dimostrato che i volti che hanno delle espressioni sorridenti o di paura vengono memorizzati meglio rispetto ai volti neutri in quanto innescano in noi delle reazioni/pattern di comportamento che ci permettono di capire cosa sente l’altro8.
Le emozioni rivestono un ruolo fondamentale nei nostri processi giornalieri fornendoci informazioni utili nel momento in cui dobbiamo prendere delle decisioni, fare dei ragionamenti o emettere dei giudizi.
Ma quali sono i principali circuiti su cui si muovono le emozioni? Che spazio occupano del nostro cervello? Le neuroscienze ci dicono che all’interno dei nostri lobi temporali si trova una struttura a forma di mandorla chiamata amigdala che misura poco più di 1,7 cm ed è definita dai neuroscienziati come “centro di controllo” delle nostre emozioni3.
L’amigdala regola molti aspetti del comportamento umano. Essa ha diversi agglomerati chiamati nuclei i quali stabiliscono relazioni con la corteccia cerebrale, il talamo e l’ippocampo, l’ipotalamo e il sistema olfattivo. L’ipotalamo controlla la temperatura corporea, l’ippocampo contribuisce alla memoria a breve e lungo termine, alla memoria spaziale e all’orientamento, il talamo manda segnali nervosi alla corteccia cerebrale regolando funzioni come ciclo sonno-veglia e lo stato di coscienza, la corteccia cerebrale elabora e integra le informazione presente nel sistema nervoso centrale4.
Tutti noi siamo testimoni di questi delicatissimi legami del nostro cervello, quotidianamente facciamo esperienza di emozioni, e possiamo testare con mano che se abbiamo paura sentiamo il nostro cuore battere più forte, se siamo arrabbiati ci sentiamo accaldati, se sentiamo un profumo particolare possono venirci in mente ricordi d’infanzia ed essere nostalgici, se siamo agitati facciamo fatica a rilassarci o a prendere sonno. Questo perché la parte laterale dell’amigdala riceve input dagli organi di senso mentre la parte centrale processa le risposte emotive e le risposte agli stimoli. La parte laterale e la parte centrale comunicano tra di loro grazie alla presenza di connessioni dirette e indirette. L’insieme di queste informazioni è mediato dai neurotrasmettitori che permettono poi al nostro corpo di produrre risposte adatte5. Possiamo quindi affermare che le emozioni sono pattern organizzati di risposte fisiologiche che coinvolgono l’espressività facciale, l’elaborazione cognitiva e il vissuto soggettivo.
Come abbiamo affermato in precedenza le emozioni svolgono un ruolo fondamentale nella sopravvivenza dell’uomo e il loro processo di avvio seppur automatico è molto complesso. Imparare a capire le nostre emozioni è un primo passo di un lavoro più difficile che si può raggiungere attraverso una corretta alfabetizzazione emotiva.
Considerando l’intelligenza come una serie di abilità possiamo affermare che le competenze emotive e sociali definiscono ciò che è conosciuto con il nome di intelligenza emotiva.
Queste competenze sono state il focus di un articolo pubblicato nel 1990 da Salovey e Mayer intitolato “Emotional Intelligence” in cui affermarono che l’intelligenza emotiva coinvolge l’abilità di percepire, valutare ed esprimere un’emozione, di accedere ai sentimenti e/o crearli quando facilitano i pensieri; l’abilità di capire, regolare le emozioni per promuovere la crescita emotiva e intellettuale6.
Qualche anno dopo Daniel Goleman (1995) definisce l’intelligenza emotiva come la capacità di percepire, riconoscere, comprendere e gestire le proprie emozioni per meglio gestire quelle altrui. Gli elementi caratterizzanti per l’autore sono: l’auto-consapevolezza; l’auto-motivazione; l’empatia; la capacità di relazionarsi con gli altri.
Questo ci porta a sottolineare ancora una volta come le emozioni sono una parte fondamentale della nostra vita. E, se è vero che il nostro è un cervello sociale e che per sopravvivere ha bisogno di relazioni è anche vero che per stabilire delle corrette relazioni bisogna avere una buona dose di intelligenza emotiva tale da regolare i nostri processi emotivi e consentirci di rispondere in maniera corretta ai comportamenti che abbiamo di fronte. La comunicazione emotiva ci permette di comprendere gli stati mentale del nostro interlocutore e di conseguenza di organizzare risposte adeguate7.
Il sentire cosa prova l’altro fa parte di quel processo conosciuto con il nome di empatia, einfühlung direbbero i tedeschi, definendola come capacità di decodificare gli stati emotivi degli altri, sentire come sente l’altro, assumere il suo ruolo e la sua prospettiva coinvolgendo le abilità cognitive e, contemporaneamente la capacità di rispondere amichevolmente alle emozioni provate chiamando in gioco la sfera affettiva9. L’empatia è uno dei temi chiave nello scenario educativo degli ultimi tempi. A questo proposito la scoperta effettuata da un gruppo di ricercatori italiani dei cosiddetti “neuroni specchio” la dice lunga sulla nostra capacità naturale di metterci in relazione con gli altri. Lo studio ha dimostrato che quando osserviamo un nostro simile compiere uno specifico compito, nel nostro cervello si attivano gli stessi neuroni che sono attivi da chi compie l’azione perché essi sono in grado di simularla. Questo ci dimostra che i “mirror neurons” sono funzionali anche nel riconoscimento delle emozioni e delle intenzioni dell’altro e quindi, nei processi di empatia.
Goleman, nel suo scritto, sostiene che la maggior parte degli adolescenti vivono in una condizione di “alessitemia”, cioè di incapacità nel riconoscere e saper esprimere i propri stati emotivi in maniera consapevole10. Spesso la realtà viene travisata e gesti innocui vengono percepiti come minacciosi, reagendo in maniera impulsiva (parte rettiliana del cervello) perché non capaci di esprimere il loro dissenso in maniera verbale. Goleman si riferisce agli adolescenti, ma possiamo estendere il concetto all’uomo nella sua interezza.
Dal punto di vista pedagogico l’alfabetizzazione emotiva ci permette non solo di ri-conoscere i segnali che provengono dall’esterno, facendo esercizio di empatia cioè mettendoci nei panni dell’altro, ma anche di affinare la consapevolezza delle nostre emozioni e le relative conseguenze che possono avere.
L’alfabetizzazione emotiva dovrebbe essere un’alfabetizzazione primaria al pari delle altre conoscenze visto che, le scoperte neuroscientifiche mettono in evidenza il legame tra emozioni, capacità sociali e processi di apprendimento. Abbiamo visto poc’anzi che l’amigdala ha “relazioni” con l’ippocampo, quindi quale miglior modo di educare se non quello di guardare sia alla ragione che al sentimento?
Bibliografia
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James, W. (1884). What is an Emotion? Mind, 9(34), 188–205. Versione Italiana
- Cfr. M. Fabbri, (2008), Problemi d’empatia: la pedagogia delle emozioni di fronte al mutamento degli stili educativi, Edizioni Ets, Pisa.
- Tiffany Watt Smith, (2020), Atlante delle emozioni umane, Utet, Milano, p. 17.
- Dott. Emilio Alessio Loiacono (2017), Amigdala: connessioni, anatomia e funzioni in sintesi, Medicinaonline.co
- Brain Health, Emozioni e motivazioni, AngeliniPharma
- Tripathy, Dr. (2018). EMOTIONAL INTELLIGENCE: AN OVERVIEW., Researchgate
- Alessandro Attanà, Stefania Righi, Tessa Marzi (2021), Capire le emozioni per vivere meglio, Psicologiamoderna
- Righi e alt. 2012
- Ivana Barberini (2020), Empatia: cos’è, storia, tipi, perché si prova, misurazione, carenza, aforismi, Melarossa
- Chiara Auletta, Cos’è l’intelligenza emotiva?, InfoDSA