Le donne, anche quelle che appartengono alle fasce socio-culturali più elevate o che dispongono di potere economico, sono ancora profondamente condizionate dai retaggi di una cultura patriarcale e misogina e sono vittime di forme di oppressione – più o meno esplicite – dalle quali si devono quanto più urgentemente emancipare.
E il primo passo verso l’emancipazione consiste nello sviluppare una crescente consapevolezza di quei condizionamenti che agiscono, anche inconsciamente, a detrimento del pieno sviluppo del potenziale di cui ogni donna è portatrice.
Si rende quindi necessaria un’azione di “risveglio della coscienza femminile”, affinché ogni donna diventi sempre più consapevole delle risorse interne ed esterne di cui può disporre, per conquistare una propria centratura, rivendicare i propri diritti e affermare la propria dignità sociale e individuale in qualunque contesto sociale, affettivo e relazionale.
Oltre alla molte (troppe) vittime di violenza fisica e abusi sessuali, ci sono anche molte donne vittime di forme di violenza più subdole e sottili, quasi impercettibili agli occhi degli altri e, inizialmente, persino di chi le subisce. Infatti, molte donne si ritrovano imprigionate in relazioni tossiche e psicologicamente devastanti, ancor prima di averne la consapevolezza.
La violenza psicologica è un mostro dalle mille teste che si manifesta attraverso il ricatto economico, morale, le minacce, l’umiliazione, la manipolazione, gli insulti, la svalutazione e/o le continue critiche demolitorie creando ansie, paure, gravi insicurezze e annientando l’autostima di chi ne è vittima.
Infatti, le donne che subiscono questo tipo di abuso sperimentano un processo di lento e progressivo logoramento delle proprie risorse ed energie ad opera del loro carnefice il quale, attraverso la messa in atto di strategie manipolative o intimidatorie, le sottopone a continue vessazioni e frustrazioni inducendole a credere di non avere alcun valore, abilità e di non potercela fare da sole.
Il terrorismo psicologico suscita in chi lo vive la sensazione di essere in una trappola senza via d’uscita, proprio perché va ad innescare dei pensieri autosvalutanti e autodemolitori, a minare qualunque certezza e fiducia in sé stesse, nelle proprie capacità, opportunità e possibilità di riscatto.
Le vittime arrivano a provare forte angoscia, stati ansiosi, depressivi e sensi di colpa nei confronti di sé stesse per “essersi fatte intrappolare” in quello che percepiscono come un vicolo cieco e al contempo provano un enorme senso di impotenza per il fatto di sentirsi prive del coraggio e delle risorse per potersi liberare dalla loro prigione; sentono di non avere più il controllo della propria vita e di essere in totale balia dei propri aguzzini.
Inoltre, le donne che subiscono violenza, qualunque sia la forma in cui essa si manifesti, qualunque sia la classe sociale a cui esse appartengono, sono tutte accomunate dalla paura.
Non solo la paura di essere massacrate a morte, violentate o bruciate con l’acido, per alcune si tratta della paura di perdere i propri figli, la propria casa, il proprio ruolo all’interno della famiglia e della società, di subire ritorsioni, la paura di non potersela cavare da sole, di essere destinate ad un futuro di solitudine, stenti e degrado.
E questo perché le donne maltrattate e manipolate hanno finito col credere di essere totalmente dipendenti dai loro carnefici e di non valere nulla da sole… I loro mariti, fidanzati, compagni…e persino padri e fratelli si sono nutriti di tutte le loro energie, fino a lasciarle inermi, esauste, atterrite, svuotate, prive di fiducia in sé stesse, negli altri, nel futuro e spesso in preda al terrore.
In simili condizioni di devastazione psicologica riemergono con ancor più forza le ancestrali paure e i condizionamenti sociali che intridono le fondamenta della nostra cultura.
A prescindere dal livello socio-culturale di appartenenza, nel profondo di ogni donna gravano i retaggi del patriarcalismo che ha contrassegnato la nostra storia.
Ogni donna, spesso inconsapevolmente, porta in sé il peso dei “vecchi” paradigmi “maschiocentrici” che da sempre hanno caratterizzato la nostra organizzazione sociale e impregnato la nostra cultura, generando – e persino legittimando – misoginia, discriminazioni e violenza di genere.
Il lento e faticoso processo di superamento dei nostri storici “dispositivi patriarcali”, in direzione di una crescente emancipazione femminile, che oggi si può definire “in via di sviluppo”, non si è ancora concluso, poiché essi, non solo continuano ad agire all’interno di alcune subculture, ma continuano diffusamente a sopravvivere un po’ ovunque, sebbene in forma latente, azionandosi proprio in quelle situazioni di maggiore fragilità.
Millenni di imperativi maschilistici e fallocentrici hanno insegnato a noi donne:
a temere la solitudine, a vivere le separazioni come dei fallimenti; a credere che non siamo in grado di cavarcela da sole;
a credere che senza un uomo affianco possiamo apparire come delle fallite;
a sopportare un uomo che ci tradisce, che ci trascura, che ci fa soffrire e persino che ci usa violenza pur di non restare da sole, a credere che senza un uomo che ci sostenga non possiamo essere economicamente indipendenti;
a pensare che la nostra realizzazione come donne passa attraverso il matrimonio e la maternità;
ad aver paura di vivere liberamente la nostra sessualità;
a reprimere i nostri desideri;
a temere gli uomini e – paradossalmente – ad affidarci a loro per sentirci protette;
a tollerare la manipolazione, il ricatto, le critiche e persino le umiliazioni;
a fare sesso anche se non ne abbiamo voglia per compiacere il nostro uomo;
a subire sommessamente le più svariate forme di violenza per il bene della famiglia, dei figli;
nel nome del padre, Amen!
Ci hanno insegnato perfino a disprezzare le donne che non vivono secondo questi dettami, che hanno il coraggio di ribellarsi alla cultura fallocentrica che per millenni ha subordinato il piacere della donna a quello dell’uomo e represso la sessualità femminile per immolarla sull’altare di qualche dio (rigorosamente maschio!).
Si rende quindi fondamentale un’azione sinergica di sensibilizzazione, supporto e solidarietà finalizzate all’acquisizione di una crescente consapevolezza da parte di tutto l’universo femminile e anche di quello maschile:
- dell’esistenza delle più svariate forme di subdola violenza che si insinuano soprattutto tra le mura domestiche, anche in quelle situazioni apparentemente insospettabili.
- di quanto i condizionamenti socio-culturali agiscano in direzione di una perpetrazione dell’esercizio e della sopportazione di queste forme di abuso
- del diritto di ogni donna di rivendicare a 360° la propria libertà e autonomia in ogni ambito dell’esistenza, dalla sfera sociale a quella sessuale
- della necessità di un risveglio della “coscienza femminile” affiché ciascuna donna sia consapevole delle gabbie sociali e dei retaggi culturali che la condizionano, delle risorse personali e sociali di cui dispone e di quelli che sono i suoi inviolabili diritti
- dell’esistenza di strategie e strumenti assistenziali, psicologici, educativi, giuridici ed esistenziali volti a sostenere, tutelare e ridare nuova vita, libertà e progettualità a tutte donne “in trappola”…
- della necessità di sradicare i vecchi dispositivi ed attivarne di nuovi, per sostituire pregiudizi e discriminazioni con visioni lucide e solidali
- del fatto che gli atteggiamenti di omertà, minimizzazione e negazione della violenza sono essi stessi una Violenza!