Cultura e società

L’importanza del silenzio nella comunicazione

Ho sempre pensato che il silenzio potesse raccontare una storia perchè non sempre sono necessarie le parole. L’immagine, con la sua struttura offre spunti, dialoghi e riflessioni silenziose che vengono riempite di significato solo se osservate attentamente attraverso le sensazioni che attingono dal bagaglio culturale e esperienziale che la vita costruisce. Per guardare, abbiamo bisogno di sgomberare la mente da ogni critica per aprirci all’ignoto e cogliere il bello che c’è nel guardare il mondo senza giudizio, come fosse la prima volta, con occhi curiosi e incontaminati del bambino che vive dentro di noi. 

Conservare lo spirito dell’infanzia dentro di sé per tutta la vita vuol dire conservare la curiosità di conoscere, il piacere di capire, la voglia di comunicare. Bruno Munari, Artista, scrittore e designer italiano

Guardare le storie, analizzare il dettaglio di un’immagine creando intrecci e collegamenti nascosti, non enunciati, costituisce una fonte straordinaria che consente sia ai piccoli che agli adulti, di mettere in luce le parole nascoste nell’apparato visivo, aprendo con esso inediti squarci di conoscenza. In queste righe e in quelle che seguiranno, ho deciso di mostrarvi la bellezza dei racconti senza parole oggi in via di espansione sul mercato globale ma ancora sottovalutati per il loro potenziale educativo e divulgativo. Libri “oggetto”, in grado di trasformare il piccolo e il grande lettore in un viaggiatore incantato alla ricerca di nuovi linguaggi.                         

Anche il cervello dispone di un suo circuito deputato appositamente a trasportare il segnale del silenzio fino alla corteccia uditiva, nel lobo temporale e dei neuroni che si attivano durante i momenti di silenzio. Il silenzio quindi non è assenza di qualcosa, ma qualcosa da percepire anche per il nostro corpo.

L’esperienza visiva in assenza di parole, rappresenta il linguaggio universale più potente al mondo senza limiti di età, spazio e appartenenza geografica.
Perciò
quanto e come questi libri possono, attraverso il silenzio espressivo dell’immagine, veicolare modelli di pensiero e quindi educare al guardare?  Abbiamo bisogno di abituare lo sguardo a guardare mediante una sequenza di immagini nell’assordante modernità, dalla quale si cerca di sfuggire per dar spazio alla riflessione e al pieno godimento dell’immagine che mette in luce ciò che le parole tacciono. Riflessione che muove i suoi primi passi da una personale esperienza lavorativa nel settore librario, che mi ha permesso di capire l’andamento delle vendite, ma soprattutto le scelte editoriali e il gusto di un pubblico che ad oggi, dinanzi ai silent book, è ancora scettico perché definiti scarsamente funzionali per l’educazione infantile. Si tratta quindi di testi che per la loro essenzialità, sono considerati semplici ed elementari, se non adatti solo ai bambini che non hanno ancora acquisito specifiche competenze di lettura.
Considerazioni che hanno suscitato in me riflessioni critiche perché, diversamente dal pensiero comune, i
silent rappresentano appieno un linguaggio espressivo e narrativo non rivolto solo ai piccoli, ma diversamente, ad un pubblico vario, in quanto richiede una conoscenza che non si limita alla sola componente visiva, ma richiede il saper dialogare con esse e con le componenti che la completano (emotive, narrative, estetiche) ed emergono dalla contaminazione tra grafica, oggetto libro e interlocutore.

Il silenzio è importante per l’immaginazione. Un’immagine, un profumo, un rumore possono raccontare qualcosa che tu stesso puoi immaginare. L’assenza di parole può rappresentare una via per liberare la creatività.

Ma prima di inoltrarci nel mondo del racconto senza parole, bisogna chiedersi: quanto è importante il silenzio nella comunicazione verbale e immaginaria?

In una società dominata da troppi dialoghi, connessioni social e dall’esigenza di esprimersi, nasce la necessità di farsi spazio in una realtà assordante e caotica. Non tutto quello che diciamo è necessario, per cui ci sono cose da tacere, altre da dire.

Tacere non è sinonimo di “non aver nulla da dire”, ma esistono persone riservate che lasciano mostrare, attraverso i gesti e le espressioni, la parte più intima di sé.
La comunicazione necessita del silenzio, almeno quanto la parola, ed esso diventa un’importante forma comunicativa intesa come tempo di ascolto e linguaggio dalle mille possibilità. Perché la comunicazione vada a buon fine c’è bisogno di silenzio, di una pausa significante, necessaria nel processo comunicativo, che attraverso l’ascolto, diventa messaggio e restituisce valore al significato della voce.

In quest’opera lo spartito indica di non suonare per l’intera durata del brano. È comunque diviso in movimenti (il primo 30 secondi, il secondo 2 minuti e 23 secondi e il terzo 1 minuto e 40 secondi) per un totale di 4.33 minuti di silenzio, durata che da il titolo all’opera. Viene percepita semplicemente come “4.33 minuti di silenzio”, ma l’autore voleva far percepire i rumori presenti nell’ambiente in cui viene eseguita per dare importanza al rumore di fondo.

Per fare ciò ricerchiamo il silenzio, inteso come momento di raccolta, incontro solitario con i nostri pensieri, con ciò che occupa la mente e ci fa riflettere. Il silenzio diventa pausa che genera la parola, che necessita di tempo e spazio e prende forma attraverso il ritmo scandito da pieni e vuoti del dire e del tacere, rendendolo così condivisibile.

L’alternanza del dire e del tacere, stabilisce perciò la componente dell’ascolto che concretizza l’atto del comunicare Lasciar parlare il silenzio, significa lasciare le emozioni libere di emergere, come sonorità emotive. Parlare del silenzio è impegnativo, perché già facendolo produciamo una rottura nel suo significato più stretto, creando rumore.
I silenzi sono infiniti e perciò felici, tristi e creativi, come quello dell’artista che che ha compiuto l’opera o dello spettatore che la gode o di chi ascolta con attenzione. Esiste un silenzio maturo che consente l’ascolto e riconosce l’altro perché le parole vengono perfezionate nel dialogo, in una mescolanza verbale che rappresenta il nostro comune patrimonio. Questo è il silenzio inteso nella mia analisi, un silenzio creativo in attesa di essere scoperto e quindi di rifiorire come forma persuasiva, luogo privo di distrazioni e pensiero cosciente, che mira a creare attenzione nell’uditore bambino o adulto, producendo in esso una risposta che stimola la fantasia e il ragionamento. 

Nel corso dei secoli, molti sono stati gli autori che hanno portato l’attenzione al concetto di silenzio, tra questi Borges, che considerava il tacere come elemento produttivo e perciò categoria composta dalle sue specifiche proprietà creative.     

Il silenzio, l’immobilità dell’arte e della musica, vogliono dirci qualcosa, rivelandoci componenti inespresse attraverso lo spazio, soglia in cui agisce il silenzio, che separa il mondo noto da quello nascosto1. Jorge Luis Borges, scrittore, poeta, saggista e traduttore argentino
 

Riflettendo sul molteplice valore del silenzio, è interessante vedere come esso, insinuandosi nelle trame dei linguaggi, può assumere svariati significati in relazione all’ambito di interesse. Indagini sull’assenza, furono condotte nell’ambito artistico e musicale anche dallo scultore basco Oteiza e dal compositore americano post futurista John Cage.

Come il primo compie un’operazione di sottrazione in cui l’assenza si fa carico di domande suscitate nello spettatore che attende una risposta dall’opera silente, così Cage attraverso l’opera emblematica dal titolo –
4’33”- del 1952, invita al silenzio come ricerca educativa, mediante partiture musicali finalizzate al risveglio della consapevolezza del sé, invitando l’interlocutore a rimanere in silenzio davanti all’ascolto del suo strumento, che attraverso i suoi movimenti e mormorii crea il suono che il bianco della partitura non definisce.

In questo modo il silenzio diventa estremamente coinvolgente, nonché elemento compositivo fondamentale, scandito solo da tre colpi di coperchio del pianoforte. Infatti per Cage: 

Il silenzio non è altro che il cambiamento della mia mente. Accettazione dei suoni che esistono piuttosto che un desiderio di scegliere e imporre la propria musica. Quando mi dedico ad un nuovo pezzo, cerco di farlo in modo che non disturbi il silenzio che già esiste.2 John Cage, compositore e teorico musicale statunitense

Ripercorrendo l’intera riflessione, il silenzio inteso come spazio di comunicazione che precede quello dell’ascolto, diversamente dai tempi e dai ritmi della contemporaneità sociale, richiede ritmi lenti e pazienti, ma apre ad infinite possibilità immaginative che nel caso dei racconti per immagini, necessitano di figure che possano avvicinare e prevaricare su altre. Possiamo dire che il silenzio si configura come condizione necessaria dell’uomo per rapportarsi con sé stesso e con gli altri attraverso l’ascolto.
Agisce sul piano dei comportamenti, implica delle scelte e si muove tra negatività (censura, autocensura, omertà, indifferenza, rimozione) e positività (forti emozioni, riserbo, rispetto, difesa, protezione, contemplazione, ascolto e attenzione) che dipendono essenzialmente dal suo utilizzo.

Bibliografia

  1. Martì Arìs Carlos, Silenzi Eloquenti, C. Marinotti Edizioni, Milano, 2002, p.19.
  2. Nicoletta Polla Mattiot, Riscoprire il silenzio-Arte, musica, poesia, natura tra ascolto e comunicazione, Baldini Castoldi Dalai, 2004, p.15.

 

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Autrice
Sonia Tralli è un’artista visiva italiana nata a Matera nel 1988. La sua espressione artistica, ha inizio sin da piccola formandosi poi presso il liceo artistico e più tardi conseguendo gli studi accademici in Decorazione e Illustrazione per l’editoria presso le Accademie di Bari e di Bologna.