Come ogni anno la primavera si apre con i grandi eventi artistico-culturali offerti dalla regione Emilia-Romagna, abbiamo quindi visitato la XVIII edizione di Fotografia Europea. Un Festival di fotografia internazionale che, come ogni anno, pone lo sguardo sulle dinamiche e i cambiamenti sociali e culturali di un pianeta in continuo mutamento.
Come si evince già dal titolo della mostra, “Europe matters“, il tema di quest’anno è legato sia dal punto di vista sociale che da quello individuale, all’identità. Partendo dall’idea di Europa e dagli ideali che la costituiscono, indaga sulla globalizzazione di un mondo multiculturale e sul potere spirituale e materiale che l’Europa non esercita più. Da questa riflessione gli artisti tracciano attraverso la fotografia, un quadro di un’identità sempre più instabile e variegata, con l’intento di dare senso all’inquietudine che la attraversa.
Come sempre il festival suscita considerazioni e riflessioni. Voglio condividerli con voi per stuzzicare la curiosità. Credo che si possa educare ed informare attraverso infiniti linguaggi che ci permettono di guardare con altri occhi la realtà, per coglierne le sfumature più nascoste.
Spazi e volti di Fotografia Europea
Come ogni edizione, lo spazio espositivo centrale di Fotografia Europea è rappresentato dai Chiostri di San Pietro. Qui si possono ammirare i progetti fotografici di 10 artisti che mettono in discussione il tema dell’identità, indagando sulle categorie di genere, razza, società, emarginazione, lavoro, politica e società.
A partire dal primo piano della struttura, si può ammirare il progetto The Island di Mònica De Miranda.
Grazie ad un allestimento simbolico che richiama la terra africana di appartenenza, indaga e smantella i pregiudizi radicati nella società portoghese, dando valore alla partecipazione attiva di uomini e donne di origine africana, che hanno vissuto e vivono ancora oggi in Portogallo. Uno sguardo possibile verso il futuro che nasce dalle singole narrazioni che si battono per il riconoscimento della storia e della cultura africana nella loro autonomia e diversità.
A seguire, nella sala successiva, troviamo Güle Güle, la visione personale di Istanbul e della società turca di Jean-Marc Caimi & Valentina Piccinni. Gli artisti pongono l’attenzione ai cambiamenti sociali in Turchia documentando le comunità emarginate, le classi meno abbienti, ma anche la discriminazione di genere della comunità LGBTQ+.
Scatti nati grazie ad uno stretto contatto tra gli autori e la città, al fine di scavare e fare emergere il substrato umano che rappresenta la natura semplice e sincera di quel luogo. Un lavoro che mi ha particolarmente colpito in quanto studiato nei minimi dettagli, le cui immagini in sequenza appaiono interconnesse da elementi comuni le cui combinazioni cromatiche danno spazio a diverse interpretazioni.
Il confine tra identità sociale e culturale
Proseguendo l’esposizione ci inoltriamo in progetti di grande attualità politica che riflettono sulle dinamiche cruciali identitarie della storia contemporanea. The Brexit Lexicon del duo Simon Roberts e Merrie Albion, un progetto incentrato sul significato più interiore dell’essere britannico in questo fondamentale momento della storia contemporanea. A seguire The Archive of Public Protests – Will never walk alone che invece raccoglie tutto il materiale che documenta l’attivismo sociale, le rivolte popolari che protestano contro le decisioni politiche e si battono per i diritti umani. Area espositiva che salta subito all’occhio sin dall’ingresso nelle sale antistanti grazie alle gigantografie che ritraggono volti di giovani in protesta e bandiere che rendono viva l’azione populista.
Foto che invitano a riflettere con l’intento di prolungare la vita delle immagini della stampa, che il più delle volte, è destinata ad essere dimenticata.
Subito dopo le atmosfere ancestrali e popolari del Sud Italia nel progetto multimediale Parallel Eyes della fotografa pugliese Alessia Rollo.
Una parte degli spazi dedicati alle sue opere sono ritratti nella copertina dell’articolo . Una sala evocativa che, da lucana, ha risvegliato le mie origini e il senso di appartenenza fatto di culto e tradizioni popolari. Fotografie disposte ad angolo che nascono dalla manipolazione analogica e digitale per ricostruire l’identità di appartenenza culturale dell’Italia meridionale. A partire da foto storiche di archivio, ritrae volti di un popolo contadino in armonia con gli effetti digitali che evocano la magia che abita l’esistenza, ricreando la dimensione evocativa di un patrimonio di tradizioni popolari e rituali che ancora oggi resistono al tempo.
Proseguendo ci troviamo davanti all’imponente progetto Bilateral dell’artista francese Samuel Gratacap.
Un lavoro incentrato sul paesaggio e sul confine come limite tra un mondo e un altro che le persone da lui ritratte cercano di attraversare per trovare la loro identità.
Sul concetto di confine inteso come fronte di guerra, si sviluppa il progetto fotografico Odesa dell’artista ucraina Yelena Yemchuck. Questo ritrae momenti di vita quotidiana dei giovani adolescenti nel periodo precedente alla loro scelta di arruolarsi nell’Accademia militare.
Nelle sale affrescate del piano terra dei Chiostri di San Pietro quest’anno, è stata adibita la mostra relativa alla più grande fotografa di tutti i tempi: Sabine Weiss – Una vita da fotografa.
L’artista più attiva nel campo della fotografia, che traccia l’intensa carriera dagli esordi del 1935 fino agli anni 80, racchiudendo il denso archivio di foto, documenti e riviste dell’epoca. Ciò che colpisce del suo lavoro è la potenza compositiva dell’immagine in cui domina l’aspetto emotivo e sentimentale dei soggetti immortalati. Particolari sono gli scatti in bianco e nero del popolo gitano o i primi scatti sulle collezioni per le riviste di moda divenuti icona di stile degli anni 70.
Percorrendo le varie tappe tracciate sulla mappa del festival, proseguiamo verso Palazzo da Mosto immergendoci nella collezione Ars Aevi Masters of Contemporary photography fron the Aers Aevi collection, che celebra il territorio bosniaco nonché paese ospite del festival. Collezione che mette in primo piano la cooperazione etica per la rinascita civile e culturale di un paese sotto assedio in cui artisti di tutto il mondo si mobilitano donando le loro opere alla città di Sarajevo durante la guerra. Una mostra riflessiva sugli avvenimenti storici che sottolinea come la fotografia e l’arte contemporanea in generale, con la loro azione, riescono a veicolare importanti valori estetici e morali a sostegno della rinascita di un mondo libero e sostenibile.
Appartenere, tra identità e sguardi testimoni nel tempo
Dalle atmosfere storiche del Palazzo da Mosto, ci spostiamo in quelle naturali e ambientali del Palazzo dei Musei con le mostra Un piede nell’Eden di Luigi Ghirri e altri sguardi e Giardini in Europa e l’Architettura degli Alberi.
Sezione ricca del festival che riflette sul ruolo dell’immagine fotografica come strumento in grado di mostrare le dinamiche della realtà e dello scorrere del tempo. Immagini che ritraggono la natura che ci ospita rimodulando la nostra percezione dello spazio naturale come testimone del senso di appartenenza. L’appartenenza come concetto del far parte di uno spazio, di una realtà naturale e culturale, che ruota attorno ai progetti dei sette giovani talenti promossi dal Premio Luigi Ghirri 2023.
Tappa immancabile del nostro tour è stata quella tra gli spazi espositivi dei Chiostri di San Domenico. Come sempre ospita la mostra dedicata alla committenza che il festival affida ad un artista diverso insieme ai due progetti vincitori della Open Call.
Lo scorso anno la committenza era stata affidata alla giovane fotografia italiana composta da sette artisti che hanno rielaborato il tema del possibile (“XVII edizione di Fotografia Europea“). Quest’anno invece, la committenza è stata affidata all’artista Myriam Meloni – Nelle giornate chiare si vede Europa, per raccontare le sfumature dell’identità di un’Europa comunitaria e multietnica. Il progetto ritrae un’idea di Europa basata sul concetto di appartenenza e adattamento ad una nuova cultura e comunità, costellato di possibilità che invitano a costruire una visione più aperta alla contaminazione culturale.
Presenti anche i vincitori dell’Open Call.
Da un lato una riflessione sulla lotta alla riconquista e alla liberazione del cielo notturno dall’inquinamento cosmico con Mattia Balsamini in Protege Noctem – If Darkness disappeared.
Dll’altro un progetto a lungo termine sul rapporto tra individuo, potere e società con Grande Padre di Camilla de Maffei, che ritrae la società albanese contemporanea. Scatti di vita di un paese segnato profondamente dalle dinamiche politiche del regime totalitario. In alternanza alle sue fotografie le testimonianze di antropologi, scrittori e giornalisti che hanno vissuto in prima persona il clima rigido del regime.
Nonostante la stanchezza stesse per chiamarci in ritirata, siamo riusciti a visitare gli spazi della Biblioteca Panizzi e il bellissimo Spazio Gerra. Quest’ultimo, trasformato in palcoscenico dove ammirare i ritratti dei più grandi musicisti contemporanei come Brian Eno, John Cage, Michael Niman.
Fotografia Europea: Circuito OFF
Tante sono state le esposizioni e gli eventi collaterali promossi dalle istituzioni culturali della città di Reggio Emilia per Fotografia Europea. Tra queste il bellissimo CIRCUITO OFF, manifestazione indipendente che quest’anno ha visto giovani artisti, associazioni e amatori cimentarsi con il tema delle identità insostenibili. Gli spazi espositivi luoghi pubblici come cortili, strade e gallerie d’arte, ma anche privati come studi tecnici, ristoranti e abitazioni che in alcuni casi hanno saputo evocare, se pur estranei al luogo, un forte senso di appartenenza dando la sensazione di aver abitato e vissuto quello spazio.
Sensazione bellissima che ho avvertito nella mostra BACK HOME dell’artista Giovanna Zampagni, curata da Stefania Dubla. Si perché Giovanna, accogliendoci nel suo spazio, ci accompagna in un viaggio alla scoperta del suo luogo di appartenenza, studio, ma anche abitazione che l’ha accolta per due anni durante la sua permanenza reggiana. Un’indagine identitaria che inizia dall’esterno e quindi dalla rampa di scale del palazzo per finire poi nella camera da letto dell’artista, in cui durante la sua performance, riesce a trasportarci nel pieno del suo vissuto tra i gesti e le azioni che hanno abitato appunto quella casa e in particolare quella stanza. Un racconto di unicità di vite sovrapposte diverse quanto identiche che abitano i luoghi, vivono gli spazi ma che appartengono alla sola unicità di noi stessi.
Nel lavoro di Giovanna ho trovato la sua personalità. Seppur abitante di un nuovo spazio, di nuove abitudini, nuove tradizioni, il suo tornare a casa (appunto BACK HOME), rappresenta un ritorno ai ricordi costruiti in quella casa, agli incontri e ai racconti. Attingendo anche al suo passato, reinterpretando attraverso matite da carpenteria i suoi disegni dell’infanzia, che oltre a far rivivere ricordi, rivelano situazioni, scandiscono il passato delineando un’identità presente.
Conclusioni
Insomma, come ogni anno possiamo dire che il festival ha soddisfatto le aspettative.
Mi ha lasciato con la curiosità e la voglia di indagare su nuove visioni e nuove esposizioni che, seppur opposte alle nostre, permettono di confrontarci su temi culturalmente differenti allenando il nostro senso critico.
Con il tema dell’identità di quest’anno, Fotografia Europea si configura come luogo di immedesimazione e di incontri inaspettati.
Qui la fotografia diventa interpretazione ma anche scoperta dell’altro. Mantenendo sempre ben saldo l’obiettivo della fotografia stessa, documenta e rappresenta con tutta la sua potenza espressiva i lati più nascosti e gli intrecci che il vissuto umano custodisce, in un mondo dominato da momenti istantanei fugaci in cui tutti alzano la voce per farsi sentire, sovrastando quella dell’altro. La fotografia rompe gli schemi, prendendo il posto delle parole.
Ecco il festival di fotografia è questo, uno spazio condiviso in cui gli sguardi della fotografia si mescolano con il vissuto di chi guarda, in una riflessione introspettiva in cui le vite si confondono generando un flusso di nuovi significati.