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Disfagia, la dieta sconosciuta alla ristorazione

Persone celiache, diete vegetariane, scelte di tipo etico o religioso: negli ultimi anni nel mondo della ristorazione le richieste della clientela si sono sempre più diversificate e i ristoratori, giustamente, si sono organizzati per rispondere a ogni esigenza. Eppure in questo ventaglio di domanda e offerta manca un elemento: la disfagia.

Probabilmente già il nome dice poco a molti. In sintesi si tratta della difficoltà di deglutire, dovuta a una ridotta elasticità e potenza dei muscoli atti a tale movimento. Questa condizione richiede quindi di assumere il cibo con particolare consistenze, simili a quelle di un omogeneizzato. Nessuna particolare restrizione sugli alimenti da introdurre nella dieta, anzi si può mangiare praticamente tutto se lavorato con una consistenza idonea.

La disfagia è un termine medico che descrive difficoltà nella deglutizione. Il processo della deglutizione può richiedere più tempo e sforzi per chi soffre di questa condizione. Può manifestarsi a qualsiasi età, ma è più comune nella popolazione anziana.

In parte la disfagia è legata all’età e quindi ne soffrono una certa percentuale di persone anziane, ma si associa anche a una serie di patologie neuromuscolari e in tal caso insorge a qualsiasi età, anche in bambini e ragazzi.

In totale, si stima che siano 6 milioni gli italiani che devono gestire questo disturbo1 2. Non proprio pochi, la domanda quindi è: come mai è quasi completamente sconosciuta e non ci sono proposte alimentari adatte alle persone disfagiche?

La disfagia e il concetto di malattia

Il punto, con buona probabilità, è che la disfagia sia strettamente correlata al concetto di malattia e di vecchiaia. Insomma, dal momento che una certa percentuale di chi è disfagico è anziano e magari ricoverato in RSA, si presuppone che non sia un cliente di ristoranti e locali.

In realtà, come giù accennato, la disfagia può insorgere a qualsiasi età, in persone che hanno sì altre patologie ma che, sebbene disabili, non hanno intenzione di vivere rinchiuse in casa. Anzi avrebbero spesso anche piacere di frequentare qualche locale con familiari e amici, ma quella che sembra un’azione semplice rischia di diventare un problema più difficile da superare della disfagia stessa.

Perché al di là del problema fisico, tutti i disturbi legati all’alimentazione influiscono sulla socialità3. Dato che molti dei momenti conviviali vengono condivisi proprio davanti a una tavola imbandita. Ma come si fa se nel menù non c’è nulla che si possa mangiare? Sembra quasi impossibile da credere, ma a un disfagico accade proprio così nella stragrande maggioranza dei casi: non c’è nulla che possa ordinare con tranquillità. Quindi restano due soluzioni: o ci si organizza partendo da casa con cibo già pronto da consumare nel locale, o semplicemente si rinuncia. E purtroppo molte persone scelgono spesso la seconda opzione.

Più semplice della celiachia

Eppure a pensarci preparare dei piatti per chi soffre di disfagia è più semplice rispetto a quanto si deve fare per chi è celiaco.

La nota trasmissione Medicina 33 ha dedicato un servizio sulla celiachia proprio sottolineando sia le difficoltà sociali per chi ne soffre, sia l’attenzione che devono riporre i ristoratori: non deve esserci alcuna contaminazione né fra i cibi né fra gli utensili utilizzati, quindi bisogna usare pentolame, attrezzature e persino pianali di lavoro separati; inoltre servono farine e ingredienti particolari, assolutamente privi di glutine.

Per la disfagia è molto più semplice. Si tratta solo di agire sulla consistenza dei cibi, senza grandi variazioni. Non servono accessori, elettrodomestici né ingredienti: si tratta solo di rendere le pietanze simili a un omogeneizzato.

Eppure sembra che quasi nessuno conosca il problema. Si crea così il famoso giro chiuso: sapendo di non poter trovare nulla adatto, chi è disfagico rinuncia ad andare al ristorante; non si crea così una domanda e, di conseguenza, non viene nemmeno a crearsi una relativa offerta.

La speranza è che aumenti la conoscenza su tale condizione così da scoprire che gestirla è molto più semplice di quanto si possa pensare. Basterebbe adattare ciò che già è sul menù – almeno in parte – rendendolo in forma di omogeneizzato. Un investimento minimo che avrebbe un buon ritorno in termini di clientela, immagine e inclusione.

Collegamenti

  1. World Gastroenterology Organisation Global Guidelines – Dysphagia,1.3 DIsease burden and epidemiology;
  2. BMJ Best parctice – Assessment of dysphagia;
  3. Storiecocciute.it – Mensa a scuola, fra sostegno e autonomia
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Autrice
Elisa Bortolini è giornalista professionista e scrittrice. Insieme a Cristina Lavizzari, avvocato, ha fondato il brand Storiecocciute, attività di consulenza e divulgazione sull’inclusione della disabilità. Gestisce il blog #storiemirabili in cui racconta la vita di personaggi noti e persone comuni che hanno superato i pregiudizi e le aspettative della società sulla disabilità.