A fine gennaio, dopo 5 anni cura di viaggi, radioterapie, chemioterapie, analisi e burocrazia varia ho perso mio padre per un tumore alla prostata al quarto stadio con metastasi al cervello.
È stato necessario un po’ di tempo per riflettere su ciò che è stato e su ciò che poteva essere. Per poterne parlare è necessario razionalizzare e non è di certo semplice farlo in queste situazioni. A parte l’esperienza personale diretta, ho conosciuto e parlato con altri pazienti e con i loro parenti stretti, dopo un lutto di questo tipo si tirano un po’ le somme tra rimpianti, malinconia e scelte orgogliose, e si cerca di metabolizzare ciò che resta con analisi e riflessioni a ritroso nel tempo.
Il tempo offre diverse prospettive e nonostante molti di voi magari già conoscono ciò di cui parlerò, voglio comunque espormi, per questioni di solidarietà nei confronti di chi ha già vissuto e per questioni di informazione verso chi non ha mai conosciuto questo tipo di problemi e non conosce queste realtà.
Uno scritto di queste dimensioni è in ogni caso riduttivo, ma è un’esperienza che voglio condividere nelle sue macro-sfaccettature.
Come mi curo?
Quando perdiamo una persona a cui vogliamo bene a causa di una malattia incurabile, ma soprattutto, quando utilizziamo molto del nostro tempo per accudirla, tentare di aiutarla a stare meglio e, naturalmente, farle guadagnare quanto più tempo è possibile da passare insieme a noi, sorgono tanti interrogativi. Questi interrogativi, sia presenti che posteriori al problema che si presenta, mettono a dura prova la nostra pazienza, la nostra stabilità emotiva e la nostra capacità di scegliere la presunta via più corretta.
La medicina moderna mette a disposizione varie scelte. Sul nostro territorio esistono diversi centri di eccellenza che ci permettono di poter scegliere quasi sempre tra 2 o 3 linee terapeutiche. Tra queste linee terapeutiche vi possono essere cure di base che qualsiasi ospedale può attuare, cure di nuova generazione che solo alcuni centri di eccellenza possono offrirvi, oppure centri di ricerca, che potrebbero permettervi di accedere a cure in fase di trial che, in virtù dell’evoluzione, dovrebbero (non per forza) essere più tollerabili e più efficaci.
Tale situazione potrebbe dar vita comunque ad un sentimento di indecisione e rammarico.
Come sapere qual è la via più giusta o la cura più efficace? Quando il nostro parente non ci sarà più ci chiederemo se la nostra scelta è stata scellerata, se avremo potuto fargli recuperare più tempo o farlo soffrire di meno, e ci sentiremo in colpa per aver scelto una cosa piuttosto che un’altra.
Purtroppo però nessuno ha la sfera di cristallo e le cure hanno un’effetto variabile in base al soggetto e alla malattia a cui viene somministrata.
Vivere bene, vivere male
Proprio in virtù del fatto che, ogni cura può agire diversamente in base al soggetto e alla malattia, vorrei affrontare l’argomento relativo alle decisioni. Ho conosciuto in questi anni, persone in situazioni simili a quella di mio padre, ma che hanno deciso di sospendere le cure. Una decisione che agli occhi di mio padre era inconcepibile, che avrebbe provato qualsiasi cura pur di rosicchiare anche il minimo tempo in più.
Ma perché alcune persone scelgono di non curarsi? Vedere certe condizioni umane, potrebbe rendere chiaro alcuni concetti che, affrontati solo sulla teoria e mai nella pratica, sono conosciuti più “per definizione” che non per un’idea reale di ciò che comporta tale condizione.
Sottoporsi alle cure per un tumore per alcuni pazienti può risultare estenuante. Cure ormonali che trasformano il tuo corpo, bloccare gli ormoni maschili/femminili, perdere i capelli, perdere l’appetito, andare incontro ad un atrofia muscolare e alla scomparsa dell’energia e della voglia di vivere, depressione, dolori. E questi sono solo alcuni dei problemi che possono sorgere.
Non fraintendermi, non sto dicendo che curarsi è inutile, non sono un medico e non cercherei mai in alcun modo di dare direttive riguardo a decisioni così importanti e strettamente personali. Oggi però, più di ieri comprendo il motivo per cui molti malati oncologici decidono di smettere di curarsi e di vivere al massimo il tempo che rimane, senza trascinarsi in tentativi che, a volte, si traducono in elemosina di tempo, tempo che nei casi in cui le cure funzionino poco o male, viene passato tra strascichi e malori.
Una scelta personale
Considerato quanto appena detto, diventa quindi una scelta personale se curarsi o no.
Ma in che senso una scelta personale? La verità è che le cure possono funzionare e il cancro può indietreggiare e far recuperare molto tempo, o anche solo un po’ di più di quello che si avrebbe avuto senza cure. Tuttavia c’è anche la possibilità che le cure siano dure da sopportare e che le cellule tumorali non arretrino affatto. Non è una cosa che può essere valutata in maniera certa perché, anche quando il quadro clinico lascia ben sperare, l’imprevisto non è calcolabile.
C’è chi decide di non lanciare quella monetina e di lasciare semplicemente che la malattia faccia il suo corso, proprio per evitare quel percorso che può rivelarsi lungo e tortuoso, condurre nonostante tutto alla fine e nel peggiore dei modi. Proprio per questo bivio di consapevolezza, è necessario oltre che un’ottima guida oncologica, un’altrettanto valida guida psicologica, in modo da poter costruire la consapevolezza del paziente.
Chi decide di curarsi va rispettato quanto chi decide di non farlo.
Un percorso difficile e imprevisto
Chi è affetto da questo tipo di patologie spesso non è cosciente di ciò che lo attende. Mio padre ad esempio non lo era.
Ci si trova abbandonati a se stessi davanti ad alcune realtà ospedaliere ed amministrative, in cui un oncologo non ti da il consiglio giusto, un infermiere ha avuto una brutta giornata, la macchina per la PET si è rotta o avevi bisogno di 3 richieste mediche invece di 2 e finisci sulla strada sbagliata o magari vieni rimandato a tempo indeterminato.
Un anziano nato negli anni 40 o 50, nella maggior parte dei casi, non è in grado di affrontare le richieste che gli vengono fatte per far fronte alle sue esigenze attuali e a quelle che potrebbero essere quelle future.
Se un consiglio (come quello di iscriversi ad un’associazione come ANT) intelligentemente anticipato dall’oncologo non arriva, si rischia di ritrovarsi alla mercè del personale medico che non ha i mezzi per offrirti la corretta assistenza, e magari suggerisce ad una famiglia di non portare in ospedale il paziente ma di lasciarlo a casa, non tenendo conto di quelle che sono le possibili evoluzioni del quadro clinico, finendo così per mettere nei guai il paziente e la sua famiglia.
Tra una richiesta ed una terapia ci sono sballottamenti, autenticazioni con lo SPID, chilometri da fare per andare al CUP, al medico curante, all’ospedale in provincia piuttosto che a quello vicino casa fintanto che le terapie possibili non terminano, e se vuoi curarti e sei fortunato, iniziano i viaggi fuori provincia, fuori regione o all’estero, con tutto lo stress, le spese e l’organizzazione che ne consegue.
Considerazioni
È estremamente riduttivo cercare di compattare tutte le possibili problematiche in un articolo così breve.
L ‘unico scopo era quello di raccontare la mia esperienza, sul profilo umano, psicologico e pratico, riguardo tutto ciò che ho potuto riscontrare sul campo partendo dal basso Salento arrivando fino in Austria.
Ho seguito mio padre per appena tre anni dei suoi cinque, eppure posso aver fatto presente solo una porzione di quelli che sono i problemi che una singola persona può aver affrontato. Nella complessità di quella che può essere la varietà delle complicazioni che ci si potrebbe trovare ad affrontare quando sei un malato oncologico, ho praticamente parlato di una goccia nel mare.
Davanti a queste malattie, c’è tanta indifferenza da parte del sistema sanitario, poca assistenza sociale e psicologica per i pazienti ed i loro familiari che vengono lasciati soli senza alcuna preparazione e informazione su ciò che potrebbe accadere.
Forse con una maggiore assistenza psicologica e sociale, qualsiasi sia la volontà da parte di un paziente oncologico di curarsi o meno, sarebbe comunque seguita con maggiore consapevolezza e serenità.