Cultura e società

Arte e commercio nel decadentismo contemporaneo

Nel corso di questi anni di formazione artistica e creativa, ho raccolto una serie di riflessioni che riguardano dinamiche che coinvolgono ogni giorno molti creativi, in particolare artisti e illustratori, ma in generale anche tutte quelle figure come grafici, designer, musicisti, chef, tatuatori, artisti artigiani, e tanti altri che, in forme diverse, mettono a disposizione il loro ingegno, la loro attitudine, le loro conoscenze e le loro abilità per trasmettere, formare ed educare attraverso contenuti inediti e persuasivi.

Al giorno d’oggi è facile ritrovarsi a svolgere mansioni in cui non ci si rispecchia o per le quali non si hanno competenze perché, ahimè, spesso la figura per cui ci si è formati per anni non è più richiesta, o la stessa si ritrova a svolgere mansioni “laterali”, perché maggiormente richieste a livello commerciale da una società che ci vuole estremamente performanti e con già alle spalle anni di esperienza.

Essere oggi un illustratore o un artista di professione, risulta faticoso perché per quanto tu possa coltivare l’attitudine sempre e comunque per piacere e per essere in linea con il proprio intento, spesso non ripaga degnamente. Questo dato di fatto si riscontra soprattutto in figure come l’illustratore che, nonostante le infinite potenzialità e il riconoscimento intellettuale imperante, è visto come esecutore di lavoro poco serio e di scarsa importanza. Così tanto in secondo piano che, per la maggior parte degli addetti ai lavori, risulta sempre più sottopagato attraverso il quale è difficile sopravvivere.

Non vale per tutti, ma spesso l’illustratore arranca, si ritrova a svolgere il suo lavoro aprendo strade parallele secondarie per avere la certezza di un altro discreto ingresso economico, che lo aiuti a mantenersi nella vita quotidiana per vivere dignitosamente.

La figura dell’artista in genere è ancora poco valorizzata come dovrebbe quindi per la sua bravura e il suo ingegno. Si tende molto a sminuire talvolta il suo lavoro con domande impertinenti e talvolta svilenti.

L’artista o il creatore di contenuti in generale, è una figura che nell’immaginario collettivo ha una scarsa integrità culturale. Lo stereotipo è quello di chi produce, divertendosi e senza grande fatica, prodotti superflui atti all’intrattenimento.

La scarsa integrità culturale dell’artista è palpabile nel quotidiano di un freelance qualsiasi. In qualsiasi commissione anche complessa, ci si può ritrovare spesso ad ascoltare richieste in cui si tende a sminuire il lavoro del creativo per il prezzo richiesto o per il costo dei materiali o ancora per immagini che, i committenti trovano poco somiglianti.

Situazione medesima nell’ambito della grafica in cui dal definire in partenza le linee iniziali per l’ideazione e la creazione di logo e immagine coordinata, si passa poi all’approssimazione di elementi che sottintendono cambiamenti in corso d’opera che non si considera come spesa in più da affrontare e riconoscere all’esecutore. Esecutore grafico che si troverà poi a fare mille cambiamenti per ore di lavoro implicite. L’idea del disegnatore è sinonimo di svago e perciò di tempo libero in eccesso da non tenere in considerazione e non retribuire.

Altro problema comune dell’illustratore nello specifico è la scelta stilistica spesso criticata dai committenti che richiedono ritratti fedeli alla realtà, senza tenere conto del linguaggio utilizzato da quel preciso illustratore e, a lavoro finito o a priori, si pretende quindi immagini realizzate con uno stile non affine a quel dato artista. Io credo che la propensione di un artista verso uno stile che tra l’altro ha definito con la sperimentazione e l’esperienza di anni, non vada forzata e né tanto meno cambiata per volere di terzi, perché così facendo la figura stessa viene snaturata per quello che è la sua espressione artistica.
Un po’ come se volessi comprare i prodotti Coop alla Conad.

Il detto dice, il mondo è bello perché è vario, d’altronde i social offrono una vasta scelta di autori di immagini che possono soddisfare appieno le varie esigenze, senza perciò criticare o screditare necessariamente il lavoro di un preciso artista/illustratore e quindi una scelta stilistica non affine ai propri gusti.

Questo atteggiamento è da sempre legato al valore che si dà alla figura dell’artista, cioè l’esecutore che in questi casi deve copiare fedelmente la realtà fotografata trascrivendola non per la propria sensibilità e perciò con il proprio linguaggio, ma più per la figura in sé e per l’idea che l’illustratore definito tale è colui che “sa illustrare-disegnare” solo se è in grado di rappresentare realisticamente la realtà.

Per molti fruitori non esperti, l’immagine fedelmente riprodotta è sinonimo di elevate doti dell’artista. Diversamente l’interpretazione più soggettiva sminuisce le competenze dell’esecutore.

Questa idea è figlia di un passato legato all’ambiente accademico, in cui la trascrizione di ciò che si guardava doveva necessariamente rispecchiare la realtà oggettiva senza perciò passare per quella soggettiva e quindi per la sensibilità artistica dell’esecutore. Basti pensare alle lezioni tenute nei licei artistici o accademici in cui un mezzo busto o una modella in posa dovevano identificarsi perfettamente sul foglio, altrimenti il compito non era considerato buono. Poi per carità è giusto imparare la tecnica partendo dalle linee guida della rappresentazione realistica, ma è altrettanto importante allenare lo sguardo dell’artista all’interpretazione della realtà secondo la personale sensibilità e l’inclinazione stilistica.

Con questa idea in testa, per anni ho modellato la mia espressione artistica, perché vedevo nel realismo l’approvazione anche del fruitore inesperto e questo mi gratificava. Affinando la tecnica e arrivando all’iperrealismo come sfida nei confronti del mezzo fotografico, mi son resa conto che questo modo di fare illustrazione poteva funzionare solo in alcuni ambiti. Più nell’ambito scientifico ad esempio, in cui la rappresentazione richiede minuzia dei dettagli e quindi massima fedeltà con la realtà. Un modo di illustrare che richiede elevata abilità e precisione tecnica e perciò la parte più sensibile non viene stimolata per la rappresentazione.

Questa continua copia della realtà, nel tempo, alimentava blocchi creativi perché nel momento in cui andavo a creare da zero un’ambientazione o un’immagine già definita nella mente, avvertivo inadeguatezza nel fare illustrazione perché ossessionata dall’idea strutturata del lavoro bello e apprezzato solo se tecnicamente perfetto, realistico e quasi fotografico. Per fortuna discostandomi da questi costrutti, liberando la mente e il segno dall’idea di perfettamente reale come un qualcosa di piacevole per gli altri, si sono aperte possibilità e mondi nuovi che ad oggi mi permettono di sperimentare ed esprimermi molto più liberamente, senza vincoli e modelli stilistici da prendere obbligatoriamente in riferimento.

È proprio vero quando Angela Vettese in “Artisti si diventa” parla di come il mondo dell’arte contribuisce ad alimentare i luoghi comuni che mitizzano la figura del creativo. Si da priorità più alla figura in sé che all’atto pratico del creare. Non è l’artista, le sue competenze, la sua sensibilità a fare del suo lavoro la sua identità artistica. Poiché è la firma che designa l’artisticità di un prodotto, è necessario a volte che l’artista per essere riconosciuto come tale dalla massa, sia stato in precedenza designato come tale, con riconoscimenti nazionali o internazionali, sia entrato (non so come) a far parte di una giuria, abbia pagato per esporre i suoi lavori o non si sia opposto alle dinamiche e alle convenzioni del mondo dell’arte.

Così facendo l’artista o l’illustratore in senso lato, rischia di diventare prodotto di consumo in vendita per la società, privato di ogni suo aspetto più sensibile e intimista.

Una bellissima riflessione di autodenuncia su questo tema fu rilasciata nel 1997 dal Guerrilla Art Action Group, gruppo attivista che aveva l’obiettivo di mettere in discussione il sistema dell’arte, basato sul profitto e l’interesse privato, e mettere in evidenza la sua stretta relazione con le istituzioni politiche a partire dalla fine degli anni 60’ fino agli anni 80’:

Attraverso la produzione di un bene di consumo artistico, l’artista è diventato un uomo d’affari. Per commercializzare la sua merce e aumentarne il valore di mercato deve creare una mistica su se stesso e sul proprio lavoro. La galleria è il mezzo attraverso cui questa merce viene distribuita. Il museo ha la funzione di santificare sia questo bene di consumo sia l’artista. Il collezionista è lo speculatore di questi titoli. I mecenati utilizzano questa merce come modo per santificare e igienizzare la propria immagine. Le riviste d’arte sono giornali specializzati, cronache finanziarie del mondo dell’arte. E la critica ha la funzione di mantenere tutti questi poteri.

Guerrilla Art Action Group, gruppo attivista

La massificazione, la svalutazione e la riduzione dell’artista in merce di consumo perdura ormai da secoli, ma negli ultimi anni con l’avvento delle piattaforme social, la produzione di massa e la grande distribuzione, si è man mano diffusa in maniera esponenziale perché oggi ciò che contano sono i numeri, i likes e quanto un prodotto fa tendenza. Questo oggi tocca tutti gli ambiti, basti pensare ai profili social; più un profilo ha followers (anche non realmente attivi), più quel profilo otterrà consensi dal pubblico, incrementando seguaci che, seppur non interessati ai contenuti, dispenseranno il follow per tendenza e non per vero interesse. A questo aspetto, si aggiunge anche un altro particolare che svaluta ancor più il lavoro di un utente dietro un profilo, cioè quello dell’acquisto dei follower che aiutano le visualizzazioni e contribuiscono a rendere popolare un profilo ancora nascosto agli utenti più attivi.

I likes e i followers sono la moderna misura del successo di un prodotto di intrattenimento. Per quanto questo possa essere indice di apprezzamento da parte di un pubblico maggiore (il che denoterebbe la qualità del prodotto), esistono strategie commerciali più disparate per ottenere un maggior consenso al di là delle capacità. Le regole del mercato annullano le regole della buona arte.

È comprensibile che magari un profilo che vende un servizio, per aumentare la notorietà cerchi la via più comoda per ricevere consensi, migliorare la posizione sul mercato e quindi per avere estimatori, ma così facendo quel servizio si vestirà di scarsa autenticità e di pochissima trasparenza. Perché se per vendere un servizio ci si deve necessariamente ritrovare ad acquistare un numero di followers anche fittizi, il rischio è che gli utenti diventino merce di consumo di un sistema fatto di richieste performanti e di apparenze. In questo modo, il contenuto passa in secondo piano per cui non sarà più importante l’idea progettuale e creativa che ha portato il creativo alla realizzazione dell’opera finale, ma sarà predominante l’aspetto estetico persuasivo che riempie gli occhi solo per popolarità e omologazione.

Già nel 1800 il problema dell’affermarsi e del mettersi in mostra era un tema molto dibattuto, infatti il letterato Honoré De Balzac parlava di questo problema predominante tra gli artisti. La bravura per un creativo non basta, per essere rintracciabile devi essere visibile e per farlo devi metterti a nudo, perché se non fai eco, non vieni considerato e in una società affamata di contenuti l’inattività diventa inaccettabile e sinonimo di improduttività e scarsa bravura.

Dico questo non per puntare il dito contro le nuove tecnologie, che fortunatamente esistono e ci aiutano a connetterci e confrontarci, ma per dire che sarebbe necessario soffermarsi con più interesse alla valutazione, non di quello che appare, ma di quello c’è nell’apparire e perciò al processo che ha portato il creativo a generare un contenuto. Il creativo, diversamente da quanto si crede, non opera in solitaria, chiuso in una stanza a cercare ispirazione, ma crea e trasforma attraverso una fitta rete di impulsi esterni, soggettivi e oggettivi.

L’arte e la creatività sono confronto, il confronto è crescita personale ed ispirazione. Oltre ai lati negativi, in una società interconnessa come la nostra, ce ne sono anche di positivi. È facile avere questo confronto e questa crescita con persone che forse, in altre epoche, non avremmo mai incontrato o conosciuto.

Connessioni che il musicista Brian Eno chiama “scenio”, con il quale contestava la natura solitaria del genio e sosteneva l’idea che progetti e idee migliori nascono dal confronto tra individui, curatori, artisti e pensatori di vario tipo. Se nel passato le grandi idee nascevano da pensieri condivisi, influenze visive e uditive e collaborazioni tra menti, oggi questo è possibile attraverso nuovi mezzi che generano scambio e contenuti di ogni tipo, il cui prodotto è frutto di un’iperconnessione di contenuti. Oggi più che mai è facile trovarsi in questo “scenio”. Internet e i contenuti condivisi sui social network e blog, rappresentano un insieme di scenari interconnessi che tagliano ogni limite geografico per incontrarsi e parlare dei propri interessi. Proprio per questo, tutti, senza limiti di età e senza titoli specifici, possono offrire il loro contributo che, se da un lato rappresenta un bene per la divulgazione ad ampio raggio, dall’altro invece, il sentirsi liberi di poter dire tutto anche senza competenze specifiche, rischia di confondere il fruitore che seguirà la tendenza e farà fatica a distinguere il mediocre dalla qualità, ciò che è vero da ciò che è falso.

Io credo che date le infinite possibilità di reperire contenuti qua e là su siti, blog, apps e social è necessario fare, creare per amore, sperimentare le alternative per trovare il linguaggio a noi più adatto. Per fare questo è necessario essere curiosi e affamati del sapere per essere mentalmente attivi, ricercare, studiare per imparare continuamente, al fine di archiviare contenuti per trovare sempre la giusta ispirazione e permetterci di allenare anche il senso critico con cognizione di causa.

Questo credo valga per tutti perché c’è sempre un’arte in quello che facciamo e la condivisione ci permette di presentarla al mondo percependone anche i progressi.

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Autrice
Sonia Tralli è un’artista visiva italiana nata a Matera nel 1988. La sua espressione artistica, ha inizio sin da piccola formandosi poi presso il liceo artistico e più tardi conseguendo gli studi accademici in Decorazione e Illustrazione per l’editoria presso le Accademie di Bari e di Bologna.